Diario

 

 

Manca.

Il profumo del caffè, accompagnato dai sorrisi che, appena varcata la soglia, si illuminano e ti illuminano, manca. Ricordi? Pareva quasi che, quando entravi al bar del paese, non stessero aspettando che te per iniziare bene la giornata. Il bar. Un altro bene prezioso, con gli amici che lo frequentano, della cui importanza non ci rendevamo conto fin che non ci è stato tolto. Manca, il bar. Manca l'appuntamento del mattino. E non c'è Skype o videochiamata che possa sostituire questa piccola piazza chiusa in un bozzolo, questo confessionale laico, questo microcosmo. Nel bar del paese c'è il mondo intero. È lì che si sa tutto di tutti, si impara a conoscersi, a volersi bene. E se una mattina mancano uno o l'altro ci si preoccupa.

- Dov'è la signora col cappellino bordeau? Non si è vista… Le sarà successo qualcosa? -

Il bar è una famiglia allargata, eterogenea, a volte chiassosa a volte riflessiva. Partecipe sempre. Anche se non appartiene ai massimi sistemi è un punto fermo attorno al quale ruotano tanti piccoli pianeti: le nostre vite.

Non è naturalmente l'unico nostro sole: mancano le persone che si incontravano a messa o attorno a un campo di calcio, in piazza per le feste o ad una grigliata, a giocare a tombola o a una conferenza…

Torneranno. Torneremo.

Mancano i piccoli affetti del paese ma anche tra le quattro mura di casa c'è un mondo da riscoprire, da riordinare, da far diventare finalmente "nostro" più di quanto lo fosse prima. Abitudini perse o mai acquisite per mancanza di tempo, giochi che avevamo dimenticato, letture lasciate a metà, passioni sopite.

Uno dei tanti messaggi che circolano di questi tempi su WhatsApp, mi ha ricordato le vicissitudini di Anna Frank e dei suoi familiari nascosti ad Amsterdam per sfuggire al nazismo. La mente è corsa allora al suo Diario, un libro letto in gioventù, probabilmente sui banchi di scuola, e mai più aperto. Lì si parlava di ben altri contagi da cui difendersi e della famiglia Frank rimasta reclusa per due lunghissimi anni nell'appartamento ricavato nella soffitta dello stabile dov'era ubicato l'ufficio del capofamiglia. Due anni (due!) senza poter uscire alla luce del sole, evitando di fare qualunque rumore durante il giorno, per non essere scoperti, nell'isolamento più assoluto.

Mi guardo intorno e cerco di immaginarmi la scena quasi fosse un set cinematografico ma non mi è possibile. Nel tepore dello studio, mentre il mio stereo mi regala le note di "Stanze di vita quotidiana" di Francesco Guccini, un album del '74 da assaporare ad occhi chiusi come un bicchiere di quello buono o come un bacio rubato, provo a stilare  mentalmente un elenco di cose che potrei fare ora: uscire in giardino e distendermi sull'erba, aprire la finestra del salotto e gridare una battuta al mio vicino che passa in strada, mettermi a tagliare un po' di legna per il camino, fare due passi nel bosco, giocare col gatto…

Invece, a braccia conserte, guardo la copertina del libro che ho di fronte. La ragazzina mi sorride ma non ho voglia di aprire il suo diario anche se bisognerebbe, in questi strani giorni di clausura, rinfrescarsi un po' la memoria. Ci farebbe bene soprattutto quando, dopo aver fatto la nostra passeggiatina quotidiana, letto il giornale ed aver scambiato quattro chiacchiere al telefono con gli amici, ci buttiamo sul divano, magari sbuffando, pronti per un'altra "dura" serata chiusi in casa…

 

 

©giovannisoldati   marzo2020

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Ultimo aggiornamento:

27 marzo 2024

 

Creato da Matteo Soldati